martedì 12 giugno 2012

A pranzo da una famiglia indiana 2: sempre più distante

Dove cavolo sono finito???
Vi ricordate la famiglia indiana con cui abbiamo fatto amicizia e con cui ci siamo trovati per un paio di pranzi (Noi da Loro e Loro da Noi)?
Prima che Katia partisse volevamo incontrarli un'altra volta e abbiamo provato ad organizzare un nuovo pranzo, questa volta nel "villaggio natale" del capofamiglia. 
Per una serie di motivi (incluso un pacco micidiale comunicatoci al momento della partenza) non siamo riusciti in tempo e così, alla fine, sono andato io da solo proprio il giorno dopo che Katia aveva lasciato l'India.

Fase 1: Arrivare al luogo indicato.
Se l'altra volta, per andare a Katraj, ci sono voluti 45 minuti e 200 rupie, figuriamoci questo giro che il posto era ancora più distante. Per ovviare al problema, i miei amici hanno provveduto a darmi tutte le informazioni necessarie a prendere il bus - Prendere il bus. Qui in India non è mica una cosa facile -. 

Partiamo dal fatto che le fermate del bus non sono necessariamente piazzate in posti intuitivamente facili da raggiungere o anche solo trovare: una volta che io e Katia abbiamo provato a prendere il 24 per andare allo Zoo abbiamo guardato dove fosse la fermata più comoda e facile da reperire. Scoperto con piacere che fermava a Pune Station (la stazione centrale) siamo andati lì in risciò per scoprire poi che l'indicazione non significa che la fermata sia effettivamente a Pune Station, piuttosto che sia "intorno lì": mezz'ora per trovarla - e poi s'è pure rotto il bus per strada ma quella è un'altra storia -.

Ad ogni modo, questa volta ho avuto un colpo di fortuna: l'autista del risciò sapeva PERFETTAMENTE dove fosse la fermata e mi ci ha portato senza fiatare e senza dover contrattare. Guarda caso gli ho lasciato la mancia.
Peccato che ci siano 4-5 autobus e che i numeri (come l'altra volta) siano scritti in Sanscrito... domando quindi ad un addetto che mi fa "yes, first one, it's leaving soon, go".
"0_o Come prego? Go?" è il pensiero che faccio immediatamente. Boh. Mi avvio tranquillo e il tipo mi fa "Go! Go! It's leaving!" e io sono sempre più basito. Guardo avanti e vedo il bus che, effettivamente... IT'S LEAVING! Scatto felino, inseguo il bus e monto in corsa! 0_0 Cioè... mica ti aspettano!
Ad ogni modo, di sedersi neanche a parlarne. Il bus è strapieno, del tipo carro bestiame (vedi foto). 

 
 

Mi rassegno a fare 20 e rotti chilometri in piedi (40 minuti). 
Prendo il cell per vedere, con il GPS, dove devo scendere. La dura realtà della sfiga mi colpisce al viso: il mio piano dati è scaduto il giorno prima, ergo niente GPS (le mappa le carica dinamicamente). Che si fa? Io non ho per niente idea di dove sia il posto dove devo scendere. Chiedo a un paio di persone giovani - è più probabile che sappiano l'inglese decentemente -, ma mi rispondono che non l'hanno mai sentito. Andiamo bene.
Vabbè, chiedo alla persona che suppongo lo sappia meglio di tutte: il controllore (NOTA: il biglietto qui si fa quando sali, te lo fa il controllore con una macchinetta apposta). "Kirkatwadi", gli dico "can you tell me when we reach it? I don't know where it is". Mi dice il solito "No problem Sir" che di solito è preludio di immensi disastri ma lo vedo convinto e quindi mi fido.
Fortunatamente ci ho visto giusto e infatti mi ha fatto scendere proprio dove dovevo - anche se ho dovuto chiedergli un paio di volte "ma quanto cavolo manca??" perchè non mi capacitavo che potesse essere così lontano -.

Fase 2: incontrare famiglia indiana
Mi guardo in giro e il mio anfitrione non si vede. Ma come? Non doveva venirmi a prendere? E ora che ci faccio qui, che non so neanche dove sia sto "qui"??
Prendo il telefono e chiamo. "I will be right there, 5 minutes". A posto siamo, "5 minutes" in India sono un concetto di tempo tutto particolare che ricalca il modello italiano di "uomo che va a prendere donna quasi pronta per uscire la sera" e lo porta a nuovi livelli di relatività che neanche Einstein si era immaginato. 

E comunque, to nona, te podevi anca farte trovare za qua visto che te me ghè manda dozento SMS finchè iero in bus pa savere quanto mancava ca rivasse...

Ad ogni modo, dopo un po' arriva.


Finalmente le cose cominciano a girare per il meglio. Salgo in moto e via per una stradina laterale, meravigliosamente asfaltata tanto che gli faccio i complimenti - anche perchè siamo nel mezzo del nulla -. "They're working on it" mi fa. "I see that", ribadisco dato che vedo gente che ci sta effettivamente lavorando. 
Quello che però non avevo capito era che il suo "Working on it" fosse in realtà più indicativo di un processo in divenire che uno in fase conclusiva. Ma il 151° metro della strada me lo ricorda velocemente con un segnale tanto chiaro quanto efficace: non è asfaltato. Cioè, hanno fatto 150 metri di strada asfaltata nuovissima, per niente. Perchè non è che nei primi 150 metri ci sia qualcosa di importante e poi vabbè, che si accontentino dello sterrato. Si tratta proprio di una porzione della strada e basta.

Buca dopo buca, sasso dopo sasso, il fastidio del viaggio lascia il posto ad un innegabile senso di pace: sono nel mezzo del niente e finalmente non c'è casino, non c'è traffico, non c'è inquinamento, non ci sono palazzi e non c'è il solito milione di persone.
Guardo estasiato il paesaggio riarso dal sole e da 8 mesi passati senza pioggia. Diverso da quanto conosco ma comunque bucolico: animali, campi, una casetta qua e là, colline sullo sfondo e qualche albero ogni tanto. 
Mi godo il vento sulla moto e il sole sulla pelle, l'odore della natura e la tranquillità delle persone a bordo strada. 

Ci fermiamo e Mahesh mi indica casa sua: è la meglio tenuta della zona, noto sollevato; sono pronto ad una esperienza indiana, sono pronto ad una esperienza rurale, ma preferisco l'approccio soft.
La sua casa è freschissima, sicuramente frutto di un qualche sapere contadino che in città è andato perduto; una meravigliosa corrente d'aria entra dalla finestra del salotto ed esce dalla porta d'ingresso.

Sua madre è giovane, davvero giovane, non dimostra 40 anni. Non parla una parola di inglese ma sorride a 32 denti e in continuazione, cosa piuttosto inusuale per una donna indiana.
Suo padre è un militare, simpatico e giovale e piuttosto energico. Una bella panza sporgente su un corpo altrimenti snello e il baffo ben curato lo rendono un personaggio davvero particolare.
Il fratello è poco più vecchio e sembra abbastanza timido, ma si offre di farmi il caffè, mi porta dell'acqua e lime e scopro che è colui che si occupa del cibo, perchè ha studiato all'alberghiero.

Arriva anche Dev (il capofamiglia dell'altra famiglia, fratello della madre di Mahesh) con il figlio Arian, le donne non sono venute.

Mentre il Biryani finisce di preparare chiaccheriamo del più e del meno. Mi offrono del Whisky - prima di mangiare -, ma ripiego su del più tranquillo vino. Portano degli stuzzichini e tagliano un ottimo mango.
Mi chiedono dell'Italia, gli racconto delle cose belle e poi parliamo della crisi. Non ne sanno quasi niente, "Italy is a rich country", "Is Europe really growing 0%?" e via così. 
Alla fine il cibo è pronto: Chicken Dum Byriani, con insalata di cipolle e peperoni verdi di complemento - non è il contorno, vanno mischiati al riso -.
Il cibo fatto in casa è sempre il migliore e loro non lesinano con le porzioni. Faccio il tris e mi guardano un po' sorpresi, ma è davvero ottimo.

Fase 3: esplorazione
Altro round di chiacchere rilassate e poi, con calma, mi mostrano i dintorni. Io, tra cibo, caldo e tranquillità, sono rilassatissimo. Campi, pozzi, templi, contadini e animali: la giornata scorre piacevole.
Mi mostrano la terra, dura e secca, che sta venendo lavorata per preparare i campi per la coltivazione del riso.


Quasi non mi sembra possibile che da qualcosa di così arido possa nascere una pianta. Mi spiegano che con i monsoni viene talmente tanta acqua che la terra si scioglie e ritorna fertile.
Ai lati dei campi, delle buche di cui non mi è chiaro il motivo. "Mango trees will be planted there", a decine. 

Il mango qui è davvero qualcosa di particolare: non solo ne hanno dozzine di varietà - davvero diverse per forma, colore e sapore! - ma ne producono tantissimi. E quando inizia la stagione, la gente va fuori di testa e si mangiano manghi tutti i giorni, in continuazione. E per strada migliaia e migliaia di baldacchini continuano a venderli, sempre pieni al mattino e vuoti la sera.

Ci sediamo poi a conoscere un po' di gente, a salutare e a parlare. Io sono un po' escluso perchè qui nessuno (a parte i miei ospiti) parla inglese, ma apprezzo la compagnia e la tranquillità.


Alla fine si fa tardi, viene quasi buio.
Mi riportano alla fermata, non prima di "come back soon", "when your parents will be in India you must bring them here", "I want to try a good wine from Italy, please bring one next time" e via dicendo. 
Arriva il bus, salgo - di nuovo, in corsa e anche peggio che all'andata - e torno a casa.
Un'ottima domenica.

2 commenti:

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